mercoledì 12 gennaio 2011

mercoledì 5 gennaio 2011

CIO' CHE IL COMITATO HA FATTO

Lamezia Terme, una città difficile in una terra difficile, dove le aggressioni alle persone, alla comunità civile, alle istituzioni, sono all’ordine del giorno quanto quelle al paesaggio, al territorio, alla memoria. Dove tutto diventa emergenza e l’emergenza pretesto per praticare scorciatoie e scrollarsi di dosso pesanti fardelli del proprio patrimonio politico. Dove il cammino di recupero di dignità è irto di ostacoli e contraddizioni ed è dunque possibile che anche un’amministrazione di centro-sinistra rischi di incartarsi ed involvere proprio su temi sensibili che dovrebbero esserle i più familiari, com’è accaduto in materia di difesa dell’acqua pubblica o di tutela e conservazione dei beni culturali. Ma dove è ancora vivo il senso di difesa del bene collettivo che trova espressione nella nascita di aggregazioni, comitati, nella sottoscrizione di appelli, attraverso cui liberi cittadini tentano di scongiurare l’irreparabile. E’ così che nasce, tra gli altri, il comitato nonbuttiamolozuccherificio.

(http://nonbuttiamolozuccherificio.blogspot.com)

Il Comitato, con l’appello che ne chiede il riconoscimento dell’interesse storico ed etno-antropologico, è riuscito ad ottenere un sopralluogo da parte della Soprintendenza dei Beni Culturali, e spera ora che l’avviato procedimento amministrativo porti all’apposizione di un vincolo, nient’affatto incompatibile con le stesse esigenze del privato.

Il tema ha trovato interesse anche fuori dai confini regionali, tant’è che il 12 novembre scorso si è tenuto a Lamezia Terme un convegno (Non buttiamo lo zuccherificio: investire nella conservazione, concorrere allo sviluppo) che ha visto la partecipazione di esperti di chiara fama nel campo appunto della conservazione (Prof. Arch. Marco Dezzi Bardeschi, docente di Restauro al Politecnico di Milano, direttore della rivista Ananke), in quello storico (prof. Arch. Gregorio Rubino, docente di Storia presso l’Università Federico II di Napoli e responsabile per la Calabria dell’Associazione Italiana Patrimonio Archeologico Industriale), in quello urbanistico (Prof. Arch. Mariadele Teti, docente di Urbanistica all’Università di Reggio Calabria, membro di Italia Nostra e dell’Istituto Nazionale Urbanistica), in quello amministrativo (Dott. Emilio Matroianni, dirigente della Regione Calabria, membro del Centro Studi Pensiero Meridiano).

Beni come l’ex zuccherificio di S. Eufemia costituiscono di per sé un valore da cui partire e non da azzerare; da lì occorre andare avanti procedendo non per sottrazioni ma per aggiunte, che sono anche arricchimento di qualità e di senso nella vita di un territorio; lo dimostrano gli esempi di altri ex zuccherifici (Forlì, Parma, Ferrara, Capua, Granada), alcuni rinvenuti in uno stato ancora più degradato, la cui storia è stata considerata degna di testimonianza visibile per la collettività, e la cui opera di restauro è stata concepita in piena integrazione con lo sviluppo territoriale (Dezzi Bardeschi). Interventi analoghi tanto più dovrebbero auspicarsi in Calabria, una terra già povera di lavoro, nella quale spesso ci siamo concessi il lusso di annullare anche i pochi esempi di archeologia industriale rimasti, quasi a voler rimuovere le tracce di un fallimento; cancellando, così, la “memoria del lavoro” e sostituendola con i simboli del mercato e del tempo libero (Rubino). L’area in questione, tra l’altro, ha una connotazione così strategica che la sua sistemazione, ferme restando le prerogative della società proprietaria, non può essere rimessa alla sola iniziativa privata, ma va necessariamente concertata col pubblico (Teti), peraltro con la possibilità, a beneficio dell’uno e dell’altro, di utilizzare i fondi strutturali europei che da qui a breve, se per tempo se ne prepareranno le condizioni, potranno essere utilizzati (Mastroianni).